Pubblicato su politicadomani Num 83/84 - Settembre/Ottobre 2008

Inserto
Il diritto di cronaca
Non senza ombre e divieti incombenti
Sul futuro dell’informazione non c’è da stare allegri: Vin Crosbie prevede che alla data del 2020 metà degli attuali giornali a stampa e online usciranno fuori del mercato

di Gino Falleri (Membro della Giunta della Federazione  Nazionale Stampa Italiana)

Il variegato mondo dell’informazione, uno dei pilastri della società democratica, è sempre sugli scudi e non mancano momenti in cui non entri in fibrillazione. Soprattutto i suoi addetti e di motivi ce ne possono essere più di uno. A parte le difficoltà per il rinnovo del contratto di lavoro scaduto da 1300 giorni, la contrazione dei livelli occupazionali, più volte sottolineata dal Coordinamento dei giornalisti disoccupati e precari, e lo stato di disagio dei pubblicisti, ora è in ballo anche il diritto di cronaca.
A spingere in alto l’adrenalina è la nuova proposta di legge sulle intercettazioni telefoniche, in sostituzione di quella presentata, a suo tempo, dall’ex Guardasigilli Mastella. Proposta non accolta favorevolmente dalle istituzioni dei giornalisti, che hanno visto in essa una limitazione al diritto di informare ed al corrispondente diritto di essere informati. Di qui la dura reazione della Fnsi e dell’Unione nazionale cronisti italiani, che hanno organizzato, su tutto il territorio nazionale, manifestazioni di protesta per richiamare l’attenzione del Parlamento e dei cittadini.
Quello delle intercettazioni telefoniche, e dei limiti al diritto di cronaca, non è un problema degli ultimi giorni. Ha profonde radici ed è pure la conseguenza più appariscente della nuova maniera di investigare, che non ha nulla a che vedere con le tipologie messe in evidenza da George Simenon,  Arthur Conan Doyle o Camilleri. Tanto per fermarci ai libri gialli.
Nello stesso tempo, per conferire il giusto peso all’obiettività, un principio fondamentale della professione e  più volte evocato da Brent Cunningham, uno dei guru del giornalismo nordamericano, non si può non sottolineare che i giornalisti sovente non ricordano di essersi autonomamente dati un codice di comportamento: quello sul trattamento dei dati personali, dove l’essenzialità dell’informazione è il punto centrale.
Anche nelle passate settimane hanno omesso di applicarlo. È accaduto quando si è incendiato un aereo all’aeroporto di Madrid e in occasione dell’uccisione, nei pressi della stazione di Aprilia, di una persona legata a traffici non legali e parente di un personaggio pubblico. Uso non corretto dell’essenzialità senza l’intervento del giudice disciplinare, che assieme ai “precedenti” alimenta la posizione di chi vuole intervenire con mano pesante.
Le intercettazioni, a parte le esigenze investigative, a parere di alcuni costituzionalisti, violerebbero i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, quali la libertà di parola e la corrispondenza allargata al telefono. Costituiscono un problema che non può essere lasciato andare alla deriva e dovrebbe essere risolto senza forzare la privacy di ciascun cittadino. Una apprezzata soluzione dovrebbe essere rinvenuta nell’equilibrio tra potere investigativo e rispetto dei diritti inviolabili. Un punto su cui insistere ed al riguardo positiva è da considerare una recente intervista rilasciata dall’on. Luciano Violante.
Le fibrillazioni non sono dovute soltanto alla proposta Alfano. Sono da ricondurre in particolare alle mutazioni in atto, al modello italiano di informazione - Hallin e Mancini lo collocano nel Mediterraneo pluralista-polarizzato - ed alla domanda se il nostro sistema possa assorbire una costante lievitazione del numero degli iscritti all’albo ed assicurare agli stessi decorosi compensi. Siamo quasi a quota centomila. Il più elevato nell’Europa dei 27 e tutti puntano a diventare “professionisti”, anche grazie all’apertura delle maglie, e poi mirano ad entrare negli organici della Rai.
Su tutto questo incombe una incognita da non sottovalutare. E questa è costituita da cosa potrebbe riservarci il futuro. Le avvisaglie occorre andarle a vedere dall’altra parte dell’Oceano, da dove si irradiano tutte le novità. Ad Atlanta si sta già sperimentando la nuova organizzazione redazionale, mentre, nello stesso tempo, si affacciano nuove figure professionali ( il Continous news reporter e il Ricercatore verificatore ) e si ipotizza che alla data del 2020 metà degli attuali giornali a stampa e online usciranno fuori del mercato. È la nera ipotesi di Vin Crosbie, che ha pubblicato un saggio sul futuro della stampa americana dal titolo “Transforming American Newspapers”.
Non c’è da stare allegri. Emblematico per il contenuto è un recente articolo  di Timothy Egan, pubblicato sul New York Times, dal significativo titolo: Save the press, parafrasando quello del film di Steven Spielberg “Salvate il soldato Ryan”. Oltre a richiamare l’opinione di Thomas Jefferson sulla stampa, ha posto l’accento sui massicci licenziamenti in atto e sulle difficoltà delle testate di mantenersi in vita sotto la spinta di Internet. E questo non vuole significare altro che una ulteriore contrazione dei posti di lavoro. A tutto questo c’è da aggiungere il blog ed i suoi effetti, nonché la presenza sempre maggiore del citizen journalist.
Un quadro che dovrebbe indurre a delle riflessioni, anche alla luce del nuovo modello di accesso che vorrebbe introdurre il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti e con i pubblicisti collocati nell’area dei saperi. Fuori dalla linea dell’informazione quotidiana. I giornalisti professionisti dovranno uscire dall’università, poi tutti sul mercato e con una esplosione in alto del loro numero. I posti disponibili, ogni anno, non superano i 350. Sempre che il Parlamento ne condivida la proposta. 

 

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